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Presentazione

  • : Chirurgia Ortopedica Funzionale
  • : blog costruito da un chirurgo ortopedico per Colleghi e pazienti
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4 mars 2007 7 04 /03 /mars /2007 23:27
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Prefazione
Il recupero funzionale dei pazienti che hanno riportato una tetraplegia in seguito a trauma vertebro-midollare pone tuttora dei grossi problemi riabilitativi, sia per la natura che per la gravità delle  lesioni.
Le moderne tecniche di rianimazione e di terapia medica hanno permesso la sopravvivenza di molti tetraplegici.
La terapia fisica e le tecniche di riabilitazione hanno consentito il recupero almeno parziale delle funzioni motorie fondamentali .
Ciò nonostante non siamo attualmente in grado di rendere autonomi la maggioranza di tali pazienti, che richiedono tuttora un'assistenza assidua.
Le più recenti tecniche di chirurgia ricostruttiva o funzionale, associate alla fisio-chinesi-terapia, ci offrono nuove possibilità riabilitative.
Scopo della presente ricerca è precisare le indicazioni e i limiti di questi interventi e di indicare i nuovi obiettivi funzionali raggiungibili.
Introduzione
Nei Paesi industrializzati il numero dei tetraplegici da trauma vertebro-midollare cervicale è in rapida e costante ascesa, soprattutto per l'aumento del numero e della gravità degli incidenti stradali.
Il recupero funzionale di questi pazienti è molto difficile e spesso i risultati della fisioterapia sono insufficienti a restituire loro una certa autonomia.
In questi ultimi anni notevole enfasi è stata data a soluzioni tecnologiche (protesi mioelettriche o a CO2, splint dinamici, ecc.) atte a compensare parzialmente tali invalidità.
Scarsamente conosciute sono le possibilità che la chirurgia offre per il ripristino delle funzioni perdute : anche nelle più recenti riviste e pubblicazioni specializzate sulle lesioni midollari (v. Bromley, op. cit., e Minaire, op. cit.) il ruolo della chirurgia è confinato al trattamento delle deformità articolari, delle retrazioni tendinee e delle para-osteo-artropatie.
La chirurgia funzionale, cioè quel tipo di chirurgia ricostruttiva che si prefigge di recuperare le funzioni perdute mediante interventi atti a sostituire muscoli paralizzati, a risolvere squilibri muscolari, a correggere deformità articolari, consente invece notevoli possibilità di recupero attraverso l’utilizzazione ottimale delle strutture residue.
La chirurgia non si pone come alternativa alla fisioterapia classica, ma è un mezzo, al pari delle ortesi, del quale il fisiatra si può servire con indicazioni e modalità ben precise per la riabilitazione di questi pazienti.
Il fisiatra non deve soltanto :
valutare attentamente e obiettivamente le condizioni del paziente
far prendere coscienza al paziente del proprio stato e delle possibilità reali di recupero
permettere il recupero di tutte le funzioni residue secondo un piano di trattamento personalizzato
indirizzare il paziente verso un’utilizzazione  migliore dei mezzi a sua disposizione e, quando questi sono insufficienti, fornir loro i presidi ortesici idonei a permettere di assolvere alle funzioni fondamentali nel modo più autonomo possibile.
Compito del fisiatra è anche quello di conoscere i limiti del trattamento riabilitativo e le indicazioni e le possibilità di trattamenti complementari, come quello chirurgico: quando non è più possibile sperare nel recupero di una certa autonomia bisogna cambiare il programma rieducativo potenziando al massimo quei muscoli adatti per un intervento di chirurgia funzionale.
Nelle pagine che seguiranno cercheremo di fare il punto sullo stato attuale del trattamento dei tetraplegici, studiando dapprima le funzioni dell'arto superiore e della mano nell'individuo normale e come queste vengano alterate nei medullo-lesi cervicali a seconda dei vari livelli lesionali, valutando infine quali sono le relative possibilità di recupero mediante il trattamento fisioterapico classico.
Nella seconda parte approfondiremo i problemi e le possibilità di recupero funzionale in seguito all'intervento chirurgico
Funzioni della mano e dell'arto superiore
La mano è un organo molto complesso e versatile, che può esprimere le sue capacità in una straordinaria varietà di modi.
La molteplicità delle sue funzioni è tale che risulta impossibile farne un resoconto dettagliato.
Comunemente vengono comunque distinte in due grandi gruppi:
1) sensoriali, o gnosiche
2) motorie, o prassiche
Oltre a queste due sono da ricordare altre funzioni, dipendenti dalle prime, importantissime per la vita di relazione:
-funzione espressiva (o comunicativa), mediante i gesti, la mimica, la scrittura, la carezza, ecc.
-funzione alimentare, non solo portando il cibo alla bocca ma preparando gli alimenti alla masticazione
-funzione di apprendimento (la mano educa l'occhio alla visione tridimensionale e alla percezione del rilievo)
-funzione igienica (cooperando alla quotidiana toelette del corpo)
-funzione di termoregolazione (è stato calcolato che non più del 10% del flusso ematico della mano serva per la sua nutrizione mentre il restante 90% venga utilizzato soprattutto per la termoregolazione).
-funzione locomotoria (presente sia nell'adulto sia nel bambino, che impara prima a sollevare il tronco sostenendosi sulle braccia, poi a spostarsi da seduto appoggiandosi sulle mani e infine a camminare carponi).
Per assolvere a tutte queste funzioni la mano presenta un’architettura particolarmente complessa, che non è possibile per motivi di spazio trattare in questa sede (rimandiamo il Lettore che intenda studiare l’argomento ai capitoli appositi del trattato “La main” di R. Tubiana, citato in bibliografia.
La mano non avrebbe la capacità di assolvere a tutte queste funzioni se non fosse applicata all’estremità dell’arto superiore, che ne costituisce il sostegno ideale (Kapandji). quasi tutti i movimenti dell’arto superiore sono finalizzati alla migliore utilizzazione della mano, sia come organo sensoriale che come organo effettore.
La spalla sostiene il braccio e dirige la mano verso l’oggetto da afferrare ; il gomito consente di avvicinare la mano all’oggetto ed eventualmente di portarlo alla bocca ; il polso facilita l’orientamento spaziale della mano in modo che questa si presenti nell’atteggiamento più funzionale per la presa ed aumenta notevolmente la forza e l’escursione dei tendini flessori ed estensori delle dita ; infine la mano esegue il gesto fine e preciso.
Le attività funzionali che l'arto superiore realizza quotidianamente e che corrispondono ad altrettante necessità vitali come nutrirsi, comunicare, lavarsi, vestirsi, spostarsi, ecc. vengono esplicate attraverso un gesto, la prensione, che è una delle attività più complesse in cui si manifesta meglio l'integrazione tra funzioni motorie e funzioni sensitive : una buona sensibilità è indispensabile non solo per riconoscere le caratteristiche degli oggetti, ma per compiere in modo corretto il movimento.
Moberg (1968 ; 1976) ha dimostrato che, quando la discriminazione dei due punti nel polpastrello è superiore a 10-12 mm., non è possibile riconoscere l'oggetto e controllarne la presa senza l'ausilio della vista. Ad ogni fase del gesto (avvicinamento della mano, apertura della pinza, chiusura della pinza con presa dell'oggetto, spostamento dell'oggetto, rilascio dell'oggetto) partecipano diversi gruppi muscolari la cui coordinazione è esercitata dal sistema nervoso centrale in base alle informazioni che vi giungono dai recettori situati nei muscoli, nei tendini e nelle articolazioni attraverso i nervi periferici. La presa perciò non è espressione soltanto dell'azione muscolare, ma dell'attività integrata del sistema nervoso centrale, dell'apparato muscolare e scheletrico e dei nervi periferici.
La funzione prensile dimostra pienamente la straordinaria varietà gestuale della mano. Nell'individuo normale sono possibili non meno di 20 tipi diversi di presa, ciascuno adatto ad afferrare un oggetto particolare (v. appendice, in cui vengono classificati e illustrati i modelli di prensione).
Alterazioni funzionali nell'arto superiore tetraplegico
La lesione midollare a livello del rachide cervicale determina nel caso più tipico della sezione completa, una volta superata la fase di shock spinale, una sintomatologia caratterizzata schematicamente da :
-paralisi flaccida al livello lesionale, spastica a livello sotto-lesionale
-anestesia completa distalmente al livello della lesione
-disturbi neuro-vegetativi e sfinterici.
Generalmente gli arti superiori dei tetraplegici presentano paralisi flaccide e atrofiche, spesso asimmetriche, il cui livello prossimale dipende dal livello neurologico. Nella maggior parte dei casi il livello lesionale è C4-C5, C5-C6 o C6-C7 ; più rare sono le lesioni che interessano i primi 4 metameri.
Circa 1’ 85% dei tetraplegici ha perso praticamente tutti i muscoli che agiscono sulla mano e sul polso, mentre non più del 15% dei casi presentano più di 5 muscoli di forza normale nella mano (Moberg) ; tra i muscoli prossimali al gomito i più frequentemente colpiti sono (in ordine decrescente) il tricipite, il bicipite ed il brachiale, il deltoide, i pettorali, il gran dentato e il gran dorsale sono paralizzati assai raramente in maniera completa. Il trapezio è quasi sempre presente e valido.
Quando la lesione midollare è completa è possibile determinare facilmente il livello neurologico in base al test motorio : il livello C5 possiede la flessione del gomito, il livello C6 possiede l'estensione del polso, il livello C7 presenta l'estensione delle dita, il livello C8 possiede la flessione delle dita, infine il livello D1 presenta la funzione di tutti i muscoli intrinseci.
Nelle lesioni incomplete il quadro clinico è più complesso e diventa più. difficile stabilire un livello. In questi casi il livello sensitivo non corrisponde con quello motorio : se la lesione risparmia la parte dorsale del midollo e le radici sensitive si può osservare una buona sensibilità negli arti superiori e nelle mani nonostante la presenza di paralisi muscolare.
In genere però, dato che il trauma più frequentemente interessa i metameri C6, C7, C8, la sensibilità delle dita della mano viene ad essere alterata in maniera più o meno grave; fortunatamente però quando residua una certa sensibilità nella mano, questa solitamente permane nelle prime dita, cioè quelle più importanti per la funzione prensile, perché sono innervate dalle radici più alte.
La valutazione della sensibilità col test della discriminazione delle due punte è molto importante (v. appendice) perché ai fini della prensione la sensibilità ha lo stesso valore della forza muscolare: durante la fase di avvicinamento, soprattutto se eseguita senza l'ausilio della vista, la sensibilità tattile guida la mano verso l'oggetto ; durante la fase di presa vera e propria la sensibilità permette il perfetto adattamento della mano alla forma dell'oggetto e la regolazione della forza di presa.
Perciò la mano insensibile dei tetraplegici perde gran parte del suo valore funzionale: essa obbliga ad un permanente controllo visivo della presa, ed anche in queste condizioni viene a mancare il sistema regolatore della forza di presa (le qualità visive degli oggetti non sempre ci permettono di valutarne il peso e quindi di aggiustare la forza).
Gli squilibri muscolari e le alterazioni della sensibilità propriocettiva tipici dei tetraplegici portano spesso all'instaurarsi di contratture, deformità, rigidità oppure ad instabilità articolari. I legamenti che stabilizzano le articolazioni, sottoposti a carichi funzionali abnormi dovuti alla perdita dell'equilibrio tra agonisti e antagonisti e alla mancanza di impulsi afferenti dolorifici e propriocettivi o all'inattività per paralisi muscolari, diventano col tempo lassi determinando instabilità articolare oppure si retraggono , contribuendo così all'instaurarsi di rigidità.
Le ossa vanno incontro ad una progressiva demineralizzazione dovuta in gran parte all'atrofia da "non uso" ; anche le cartilagini articolari col passar del tempo si assottigliano.
Tutte queste alterazioni del sistema nervoso centrale, dei muscoli, dei nervi, dei tendini, dei legamenti, e delle ossa non possono non ripercuotersi negativamente sulla funzione principe dell'arto superiore, la prensione. Nelle lesioni "alte" saranno compromesse sia la prensione grossolana che quella fine; nelle lesioni a livello D1 sarà compromessa solo quella fine.
Obiettivi funzionali raggiungibili con la fisioterapia
Prima di stabilire un programma riabilitativo bisogna fare un'accurata valutazione delle condizioni del paziente. Ovviamente le possibilità di recupero della funzionalità dell'arto superiore sono maggiori quanto più la lesione è bassa, cioè interessa i segmenti inferiori del midollo cervicale.
Quando la lesione colpisce uno dei primi 4 segmenti ed è completa, il diaframma e gli altri muscoli respiratori sono paralizzati; la prognosi è spesso infausta per insufficienza respiratoria o, se il paziente viene ventilato artificialmente, per complicanze broncopolmonari o cardio-circolatorie.
Quando il livello lesionale è C4+C5- (cioè risparmia C4 mentre colpisce il midollo a partire da C5) non è possibile alcun movimento dell'arto superiore al di fuori dell'elevazione della spalla ad opera del trapezio e dell’ elevatore della scapola. In questi casi non è raggiungibile una prensione manuale; bisogna perciò educare il paziente alla presa dentaria o labiale (v. appendice) che possono consentire di scrivere a macchina, di voltare le pagine di un libro, di dipingere, ecc.
Se la lesione è a livello C5+C6- sono presenti i muscoli che permettono l'elevazione e la extrarotazione della spalla (anche se i muscoli della cuffia dei rotatori sono più deboli del normale), la flessione del gomito (il bicipite è parzialmente innervato da C5); la mancanza del gr. pettorale, del gr. dorsale, del tricipite, dei muscoli dell'avambraccio e della mano limita molto le possibilità funzionali dell'arto superiore; anche in questo caso sarà perciò necessaria un'assistenza assidua. Gli obiettivi da raggiungere sono: una certa indipendenza nel mangiare, la scrittura mediante macchina da scrivere elettrica, la prensione bimanuale. Con l'uso di una ortesi (v. foto 15) alla quale sono applicabili utensili come le posate, bastoncini, penne, ecc. , questi pazienti possono mangiare, sfogliare riviste o libri, disegnare, ecc.
Quando la lesione interessa C6+C7- sono presenti anche i muscoli gr. pettorale, gr. dorsale, gr. dentato, i muscoli della cuffia dei rotatori, il bicipite, gli estensori radiali del carpo, il brachio-radiale. In questi casi l'adduzione delle spalle può compensare parzialmente, soprattutto nei trasferimenti, la mancanza del tricipite, mentre l'estensione attiva del polso permette la presa di piccoli oggetti con la mano sfruttando l’effetto tenodesi (come nella mano pseudo-automatica di Duchenne, v. appendice).
E’ perciò raggiungibile una certa indipendenza sia nel mangiare (questi pazienti sono in grado di tenere in mano le posate, specie se dotate di un manico di dimensioni  superiori alla norma. V. foto 21), che nella scrittura manuale o a macchina e nella igiene personale (possono pulirsi i denti, radersi col rasoio elettrico purché munito di un anello di cuoio per consentire la presa).
I pazienti con lesioni a livello C7+C8- oltre ai muscoli citati prima posseggono il tricipite, il flessore radiale del carpo, gli estensori delle dita della mano, il pronatore rotondo.
L'estensione attiva del gomito e la maggior forza nella flessione ed estensione del polso conferiscono a questi malati una migliore destrezza nei movimenti, una più valida forza prensile, maggiori capacità di spostamento. Gli obiettivi raggiungibili sono l'indipendenza nel mangiare, nello scrivere, nel battere a macchina, nel lavarsi, nel vestirsi e nei trasferimenti (importantissima è la funzione del tricipite, che permette in questi pazienti il sollevamento del tronco negli spostamenti).
Nei casi con lesione C8+D1- sono presenti i muscoli flessori ed estensori delle dita tranne gli intrinseci e i muscoli della eminenza tenar e ipotenar. Dato che i movimenti della mano sono buoni e la presa abbastanza stabile, in questi casi si può raggiungere l'autosufficienza nel mangiare, nel bere, nel lavarsi, nel vestirsi, nello scrivere e nei trasferimenti, tanto che a volte è possibile un reinserimento nella vita sociale e professionale. Questi pazienti mancano di una vera opposizione del pollice e della funzione degli intrinseci ; perciò, nonostante la buona validità dei flessori e degli estensori lunghi, risulta ridotta la forza prensile e sono impossibili i gesti fini e rapidi.
Nelle lesioni midollari incomplete il quadro clinico è più vario e complesso e difficilmente schematizzabile ; anche in questi casi gli obiettivi funzionali raggiungibili dipendono dal tipo e dall'entità del deficit motorio.
LA CHIRURGIA FUNZIONALE
Introduzione
La necessità di un nuovo modo di accostarsi al problema del recupero dell’.arto superiore tetraplegico deriva dal fatto che, nonostante l'imponente dispendio di mezzi, di attrezzature e di uomini, spesso il risultato è insoddisfacente, specialmente per quanto riguarda i pazienti più gravi, cioè quelli che non riescono neanche ad estendere il polso.
Notevoli sforzi sono stati fatti per costruire ortesi passive o dinamiche oppure protesi mio-elettriche. Questi strumenti possono aumentare l’autonomia dei tetraplegici ma hanno alcuni ovvi limiti: sono spesso ingombranti, sono esteticamente poco accettabili, necessitano spesso di una persona per applicarli o toglierli, possono essere utilizzati per tempi limitati per non rischiare di provocare decubiti, ecc.
Il primo a pensare ad un approccio diverso, di tipo chirurgico, per ristabilire una funzione prensile alla mano tetraplegica fu Bunnell (1948), che consigliava di praticare tenodesi dei flessori delle dita lunghe e del pollice.
Poi anche Street e Stambaugh (1959) suggerirono interventi simili.
Nickel e Coll. (196J) proposero di ottenere una presa rudimentale artrodesizzando parecchie articolazioni delle dita ed usando trasposizioni tendinee. I loro risultati non erano graditi ai pazienti perché per ottenere una pinza debole avevano sacrificato la flessibilità della mano, indispensabile per gli spostamenti nel letto o in carrozzina e soprattutto per il contatto interumano.
Altri tentativi per migliorare la mano furono fatti da Lipscomb, Lamb, Freehafer dal 1958 al 1974, ma i maggiori contributi alla "riabilitazione chirurgica” dell'arto superiore tetraplegico si devono a Moberg, Zancolli e House.

Moberg (1975,1978) ideò e pubblicò un originale metodo per restituire una utile funzione prensile in pazienti che possedevano solo il deltoide, il bicipite e il brachio-radiale ; la sua tecnica prevedeva la trasposizione del brachio-radiale sull'estensore radiale breve del carpo, la tenodesi dell'estensore e del flessore lungo del pollice e l'artrodesi della interfalangea del pollice per costruire una pinza subtermino-laterale e l'autonomizzazione ed il trasferimento della parte posteriore del deltoide sul tendine tricipitale per ristabilire l'estensione attiva del gomito.
Zancolli (1979), oltre a numerosi interventi comportanti trasposizioni tendinee e tenodesi multiple, ideò una interessante tecnica per correggere la deformità in iperestensione delle metacarpo-falangee dovuta a paralisi dei muscoli intrinseci, il cosiddetto intervento del "laccio", che prevede il trasferimento di un flessore superficiale sulla puleggia alla base della falange basale; la correzione della griffe digitale permette una migliore funzionalità dei tendini flessori.
House (1976, 1986) propose un interessante intervento eseguito in due fasi: nella fase estensoria si esegue la tenodesi degli estensori delle 5 dita, nella fase flessoria si eseguono trasposizioni tendinee per attivare i flessori delle dita e del pollice; in questo modo è possibile una presa attiva attraverso le trasposizioni sui flessori, mentre il rilascio dell'oggetto è permesso dalla estensione passiva delle dita che si verifica flettendo il polso.
Da quando sono stati fatti i primi non sempre fortunati tentativi notevoli progressi sono stati compiuti ; la chirurgia attualmente ha raggiunto un notevole grado di perfezionamento, tanto che Hentz (1983) affermava che circa il 75% dei tetraplegici può trarre beneficio da un intervento.
Tipi di intervento
Gli interventi chirurgici che hanno dato i maggiori successi nel recupero funzionale dell'arto superiore tetraplegico sono essenzialmente di due tipi: quelli diretti al ristabilimento e al riequilibrio della forza muscolare (trasposizioni tendinee) e quelli diretti a stabilizzare articolazioni instabili (artrodesi, capsulodesi, tenodesi).
Naturalmente le trasposizioni tendinee sono gli interventi più utili in quanto permettono di sfruttare appieno tutta la forza muscolare residua: gli altri interventi hanno funzione del tutto complementare, e cioè di semplificare lo schema motorio, adattandolo al numero e ai muscoli disponibili.
I trasferimenti tendinei, che consistono nella disinserzione del tendine e nella sua reinserzione su un altro tendine o direttamente sull'osso in una posizione ritenuta più funzionale, permettono di modificare la direzione e il tipo di azione di uno o più muscoli e quindi di sostituire la mancata attività dei muscoli paralizzati e di ristabilire l'equilibrio funzionale tra agonisti e antagonisti necessario per un corretto schema motorio.
I vantaggi di questo tipo di interventi consistono :
nel pronto ripristino della funzione motoria perduta
nella ricostituzione di un nuovo equilibrio fondato sulla riduzione delle forze in eccesso e sul potenziamento dei gruppi muscolari ipovalidi, senza un apprezzabile perdita di forza globale (anche gli allungamenti tendinei permettono il riequilibrio muscolare, ma a scapito di una perdita di forza che nel caso dei tetraplegici è inaccettabile; le artrodesi semplificano il movimento di un segmento corporeo, ma ne aboliscono la flessibilità).
Anche se non sempre è possibile prevedere con precisione l'effetto della trasposizione tendinea in quanto molte sono le variabili in gioco (formazione di aderenze, dimensioni ed escursione del tendine diverse da quelle preventivate, ecc.) si può anticipare il risultato finale o predisponendo un modello matematico dell'arto da operare e valutando le conseguenze della redistribuzione delle forze in seguito all' intervento, oppure applicando al paziente uno splint dinamico che simuli l'azione dei tendini trasposti.
Un tipo di intervento, diverso dalle trasposizioni tendinee e dalle artrodesi, che viene utilizzato spesso nei tetraplegici è la "tenodesi dinamica". Essa si prefigge di restituire il movimento quando non esistono muscoli motori e sfrutta la flesso-estensione passiva delle dita che avviene quando il polso viene mosso attivamente. Se il polso viene flesso la superficie dello scheletro aumenta sul lato dorsale e diminuisce nella parte volare concava; in questo modo i tendini estensori , posti longitudinalmente sulla faccia dorsale, vengono messi in tensione ed estendono le dita, mentre i tendini flessori, posti longitudinalmente sulla faccia volare, si rilasciano favorendo anch'essi l'estensione delle dita. Se il polso viene esteso avviene il contrario (cioè la flessione delle dita).
Principi degli interventi di chirurgia funzionale
Scopo principale degli interventi di chirurgia-funzionale è di restituire una utile funzione prensile della mano al fine di ridare una certa indipendenza al paziente.
Il tetraplegico è privo di uno o più dei seguenti movimenti fondamentali :
-abduzione, adduzione e rotazioni della spalla
-flessione del gomito ( indispensabile per portare la mano alla bocca, ecc.)
-estensione del gomito (necessaria per reggersi sulle stampelle o spostarsi dal letto alla carrozzina, ecc.)
-estensione del polso (aumenta la forza dei flessori delle dita allungandone il decorso)
-flessione del polso (facilita l'estensione (delle dita da parte degli estensori)
-flessione ed estensione attiva delle dita (permettono rispettivamente la presa attiva e il rilascio degli oggetti) e, se possibile, la opposizione del pollice.
La ricostruzione di tutti i movimenti fondamentali perduti è possibile solo in quei casi in cui sono pochi i muscoli colpiti (paralisi "basse"); nella maggior parte dei casi bisogna accontentarsi di ripristinare una pinza fondamentale tra pollice e indice sfruttando il naturale effetto tenodesi, che entra in funzione con la flesso-estensione del polso anche se i muscoli flessori ed estensori delle dita sono paralizzati. Bisogna infatti tener presente che la maggioranza dei tetraplegici non possiede un numero di muscoli disponibili per la trasposizione tale da permettere la ricostruzione di tutti i movimenti perduti. Non si deve inoltre dimenticare che le trasposizioni tendinee permettono di ovviare in tutto o in parte alla funzione dei muscoli paralizzati solo a discapito dei muscoli rimasti integri: non si aggiunge una nuova forza muscolare, ma viene ridistribuita in maniera più funzionale quella residua. Nel complesso assistiamo ad una riduzione della forza globale (per formazione di aderenze, alterazioni del decorso tendineo, sutura in allungamento, ecc.}, anche se la funzionalità risulta migliorata.
Questi interventi permettono buoni risultati solo se si seguono alcune regole fondamentali, che riguardano la scelta del paziente, della mano da operare, dei muscoli donatori e dei tempi di intervento. Considereremo questi problemi separatamente per maggiore chiarezza.
Scelta del paziente
Un'accurata selezione dei pazienti deve essere fatta per evitare conseguenze spiacevoli sia per l'ammalato che per il chirurgo.
L'esperienza fin qui acquisita dimostra che i risultati  migliori si ottengono in pazienti giovani, intelligenti,  ben motivati, in grado di collaborare al programma di recupero, che hanno una buona sensibilità nella mano, che non posseggono rigidità articolari o spasmi o retrazioni muscolari, che non presentano problemi psichici o mentali e di carattere generale, (decubiti, insufficienza respiratoria, disturbi urologici, ecc.) e che non si fanno soverchie illusioni riguardanti i risultati ottenibili con l'intervento.
Si può comunque ritenere che la chirurgia possa essere utile ad un numero di pazienti molto più grande di quello che si possa comunemente immaginare.
Alcuni esperti (Hentz, 1983 e Moberg, citato da Hentz) hanno calcolato che almeno il 75% dei tetraplegici potrebbe trarre vantaggio da un intervento chirurgico. I risultati ottenibili dipendono strettamente dalle condizioni di partenza: nelle lesioni midollari "alte”, con livello neurologico C5 -C6, è possibile ancora ristabilire chirurgicamente una certa funzione prensile della mano purché siano ancora validi il deltoide, il bicipite brachiale, il brachio-radiale; nelle lesioni "basse", in cui è residuata solo una paralisi dei muscoli intrinseci, si può restituire una buona opposizione del pollice, una buona pinza pulpare ed una eccellente forza prensile, senza bisogno di ortesi.
Scelta della mano
Se i due arti superiori hanno deficit simili bisogna operare quello che aveva la mano dominante prima dell'incidente, perché più vicino al cervello del paziente. Se la differenza tra la funzionalità dei due arti è grande sarebbe preferibile operare prima il migliore (è meglio rifiutare di operare il paziente che richiede un intervento sull'arto più colpito: il paziente deve essere fiducioso e motivato e deve capire che i risultati della chirurgia ricostruttiva saranno tanto migliori quanto migliori sono le condizioni di partenza).
Se si prevede un intervento anche per ristabilire l'estensione del gomito, sarebbe preferibile cominciare con la ricostruzione del tricipite, dato che la rieducazione per questo intervento prevede almeno tre mesi prima di poter flettere il gomito operato e quindi di poter utilizzare bene l'arto.
E' sconsigliabile operare il gomito e la mano dello stesso arto in una sola seduta operatoria, dato che sono interventi che in genere comportano una rieducazione funzionale diversa e mutuamente incompatibile. Allo stesso modo non bisogna operare contemporaneamente i due arti superiori in quanto il paziente sarebbe completamente immobilizzato e la riabilitazione risulterebbe ardua.
Quando il programma chirurgico prevede diversi interventi nella stessa mano bisogna seguire un ordine corrispondente all'organizzazione metamerica del midollo spinale: in questo modo se il paziente ha l'estensione del polso (C6) bisogna prima ricostruire la funzione immediatamente- successiva nell'organizzazione del midollo spinale, cioè l'estensione delle dita (C7), poi la flessione delle dita (C8) e così via.
Scelta del tempo
Secondo Lamb (citato in Campbell's Operative Orthopaedics, 1980, pag. 308), se non c'è neanche un accenno di contrazione subito dopo il trauma e la situazione non muta dopo un mese di trattamento, allora non ci si può aspettare il recupero di una funzione utile da quel muscolo. La maggior parte degli studiosi dei problemi dei tetraplegici sono d'accordo nell'eseguire l'intervento non prima di 6-12 mesi dall'incidente. In genere conviene programmarlo quando il recupero funzionale si arresta.
Zancolli, che probabilmente ha la più grande casistica mondiale sull'argomento, ha eseguito il 62,5% dei suoi interventi (141) a distanza di 7-18 mesi dall'incidente e consiglia di aspettare almeno 12-18 mesi. I chirurghi che hanno partecipato alla Conferenza internazionale sulla riabilitazione chirurgica dell'arto superiore tetraplegico consigliano di controllare ogni tre mesi le funzioni motoria e sensitiva e di attendere almeno un anno dall'incidente prima di ricorrere all'intervento.
Durante questo periodo il paziente ha il tempo di ristabilirsi da un punto di vista psicologico e di rendersi conto che non esistono speranze di recupero. Nei casi in cui il recupero c'è stato conviene attendere che questo si sia arrestato: l'intervento chirurgico va riservato ai casi in cui non è più prevedibile alcun miglioramento della sintomatologia neurologica, motoria e sensitiva.
Bisogna comunque aspettare che i decubiti siano guariti, che non esistano più problemi uro-genitali o cardio-polmonari tali da impedire od ostacolare l'intervento o la rieducazione funzionale susseguente.
Il paziente deve essere in grado di poter essere mobilizzato in carrozzina in modo da poter concentrare sull'arto superiore tutti gli sforzi riabilitativi.
Scelta del muscolo donatore
Il muscolo donatore deve essere:
-funzionante (almeno di grado 4 della scala di valutazione del British Medical Council)
-sacrificabile (il trasferimento non deve comportare una perdita funzionale importante)
-sinergistico* (deve cioè essere un muscolo che normalmente collabora attivamente al movimento compiuto dal muscolo ricevente;  questa caratteristica facilita molto il recupero funzionale)
-simile al ricevente in quanto a forza, lavoro, potenza (questo è indispensabile per mantenere una funzione simile a quella del muscolo da sostituire, per non produrre ipercorrezione oppure deformità da ipofunzione), ampiezza di movimento (l'ampiezza può essere aumentata se si rende poliarticolare il tendine trasferito oppure se il tendine e il ventre muscolare vengono liberati dai tessuti fasciali che li circondano), direzione (se possibile in linea retta dalla origine alla inserzione).
Norme pratiche
Da un punto di vista chirurgico, oltre alle consuete norme di asepsi e di atraumaticità, bisogna osservare le regole seguenti:
1) assicurarsi prima di eseguire il trasferimento tendineo che le articolazioni abbiano una motilità pressoché completa (la rigidità articolare e le retrazioni delle parti molli vanno corrette prima della trasposizione tendinea)
2) non eseguire la trasposizione se questa deve attraversare del tessuto cicatriziale, che finirebbe per ostacolarne il movimento (applicare, se possibile, un lembo cutaneo di copertura)
3) non ledere per quanto è possibile, la guaina tendinea
4) eseguire la anastomosi o la tenorrafia senza eccessiva tensione
5) porre l'arto in una posizione tale che la distanza tra l'origine e l'inserzione del tendine trasposto sia minima; a volte questo può determinare ipercorrezione, soprattutto se gli antagonisti sono deboli. In questi casi è utile eseguire la tenorrafia in allungamento; si esegue invece in accorciamento se gli antagonisti sono molto forti.
6) la tensione della sutura deve permettere il movimento di tutte le articolazioni attraversate dal tendine trasposto.
7) la funzione del tendine trasposto deve essere unica (non è possibile con una sola trasposizione tendinea per esempio flettere efficacemente le metacarpo-falangee delle dita e contemporaneamente ottenere l'adduzione del pollice perché la direzione, l'escursione e la forza richieste sono differenti e mutuamente incompatibili. Se un muscolo viene trasferito su due tendini aventi funzioni separate, la sua forza e la sua ampiezza saranno dissipate e molto meno efficaci che se fossero inserite su un solo tendine).
Classificazioni
Fin dagli inizi della chirurgia dell'arto superiore tetraplegico ci si rese conto della inadeguatezza di una classificazione dei pazienti in base al livello della lesione ossea o midollare. Questo era dovuto
-alla frequente asimmetria delle lesioni
-alla mancanza di stretta correlazione tra livello lesionale scheletrico e livello neurologico
-al recupero motorio non sempre simmetrico e ordinato.
Dato che il trattamento chirurgico dovrebbe variare in base ai muscoli risparmiati, si pensò di adottare come criterio classificativo la funzione residua, sia motoria che sensitiva.
Così Lamb e Landry (1972) dividevano i pazienti in 6 gruppi a seconda dei movimenti delle varie articolazioni dell'arto superiore (v. fig. 1)
Fig. 1
Classificazione di Lamb e Landry (1972)

Gruppo     Movimento    
1 2 3 4 5 6     Sollevamento della spalla “                                             +   abduzione della spalla e flessione gomito “                                             + estensione polso e pronosupinazione "                                             + flessione radiale del carpo "                                             + estensione del gomito "                                             + estensione delle dita   
Moberg ( 1978) invece distingueva i pazienti in due gruppi in base alla presenza o no di una sensibilità cutanea inferiore a 10 mm. al test della discriminazione di due punte eseguito sui polpastrelli delle dita: se la sensibilità cutanea è scarsa e il controllo del movimento può avvenire solo attraverso la visione diretta, il gruppo è chiamato O (cioè a sensibilità oculare); se invece la sensibilità cutanea e la vista sono buone, il gruppo di appartenenza è chiamato OCu (cioè a sensibilità oculare e cutanea).
In base ai muscoli risparmiati ciascun gruppo è poi distinto in 8 sottogruppi (v. fig. 2). Questa classificazione è completata dalla registrazione della validità del tricipite secondo lo schema :
triceps + = tricipite valido almeno contro gravità
triceps - = tricipite attivo a gravità eliminata o completamente assente.

Fig 2
Classificazione di Moberg (1978)
Gruppo O (Oculare) : pinza controllata solo con la visione diretta    Gruppo OCu (oculare e cutanea) : pinza controllata con la vista e con la sensibilità cutanea   
O:0 = nessun muscolo di grado 4 sotto il gomito    OCu:0= nessun muscolo di grado 4 sotto il gomito   
O:1 ; solo BR    OCu:1 ; sOCulOCu BR   
O:2; BR + ECRL + ECRB    OCu:2; BR + ECRL + ECRB   
O:3; BR + ECRL + ECRB + PT    OCu:3; BR + ECRL + ECRB + PT   
O:4; «                                          + FCR    OCu:4; «                                          + FCR   
O:5; «                                          + EDC    OCu:5; «                                          + EDC   
O:6; «                                          + EPL    OCu:6; «                                          + EPL   
O:7; «                                          + FD    OCu:7; «                                          + FD   
O:8; «                                          + Intrinseci    OCu:8; «                                          + Intrinseci   

Triceps + = tricipite valido almeno contro gravità
Triceps- = tricipite attivo a gravità eliminata o completamente paralizzato


Zancolli (1979) elaborò una classificazione originale basata sulla innervazione segmentaria dei muscoli del gomito,  avambraccio e mano. I pazienti venivano divisi in 4 gruppi principali (v. fig. 3): flessori del gomito, estensori del gomito, estensori estrinseci delle dita e flessori estrinseci delle dita ed estensori del pollice. Ciascun gruppo principale viene ulteriormente diviso in sottogruppi a seconda dei muscoli risparmiati e quindi dei muscoli utilizzabili per le trasposizioni tendinee. Dato che il programma chirurgico non varia in base alla sensibilità residua, nella classificazione non viene menzionata la valutazione della funzione sensitiva della mano.

Fig.-3
Classificazione di Zancolli (1979)

Gruppo 1    Flessori del gomito    a) senza brachio-radiale (1-A) b) con brachio-radiale (1-B)   
Gruppo 2    Estensori del polso    a) debole estensione (2-A) b) forte estensione (2-B) · senza PT, FCR, tricipite (2-B-I) · con PT, senza FCR e tricipite (2-B-II) · con PT, FCR, tricipite (2-B-III)   
Gruppo 3    Estensori estrinseci delle dita    a) estensione delle dita ulnari, paralisi delle dita radiali e del pollice (3-A) b) estensione di tutte le dita, debole estensione del pollice (3-B)    
Gruppo 4    Flessori estrinseci delle dita ed estensori del pollice    a) completa flessione delle dita ulnari ed estensione del pollice ; assente o debole flessione delle dita radiali e del pollice (4-A) b) completa flessione delle dita e del pollice ; paralisi totale degli intrinseci (4-B) a. senza flessore superficiale delle dita (4-B-1) b. con flessore superficiale delle dita (4-B-2)    

Sempre utilizzando il criterio della funzione residua Hentz (1983) ha elaborato la sua classificazione, in cui vengono distinti tre gruppi principali (v. fig. 4)
Fig. 4
Classificazione di Hentz (1983)
Gruppo    Funzione residua    Interventi raccomandati   
1 (20% dei casi)    Debolissima estensione del polso, senza muscoli validi per la sua restaurazione    Necessarie le ortesi Raramente indicata la artrodesi del polso (per utilizzare ortesi più leggere) Ristabilire l’estensione del gomito con il trasferimento del deltoide pro tricipite   
2A (48% dei casi)    Presenza nell’avambraccio di 1-3 muscoli di grado 4 capaci di ripristinare una estensione attiva del polso e del gomito moderata o forte    Ristabilire una pinza fondamentale Ricostruzione dell’estensione attiva del gomito col trasferimento del deltoide pro tricipite   
2B (12% dei casi)    Insufficiente flessione attiva delle dita ; presenza nello stesso avambraccio di 4-5 muscoli di grado 4  e un tricipite di grado 3-4    Ricostruzione per stadi : generalmente della estensione attiva o passiva delle dita e della funzione attiva del pollice e delle dita   
3 (20% dei casi)    Estensione attiva delle dita e più di 4 muscoli dell’avambraccio di grado 4-5    Ricostruzione per stadi di una forte prensione digitale, di una indipendente flessione del pollice, di una presa fine   

Noi siamo più propensi ad adottare la classificazione consigliata dalla Conferenza internazionale sulla riabilitazione chirurgica dell'arto superiore tetraplegico *(1979) in quanto ci sembra più chiara e completa di tutte le altre.
Essa prevede la distinzione dei tetraplegici in 8 gruppi in base ai muscoli rimasti integri (devono appartenere almeno al gruppo 4 della classificazione del British Medical Council). Un'ulteriore distinzione viene fatta in base alla sensibilità residua: come nella classificazione di Moberg, al gruppo O appartengono quei pazienti in cui il controllo della prensione avviene per mezzo della sola visione, mentre al gruppo OCu appartengono quei pazienti che hanno una sensibilità cutanea con un potere discriminativo inferiore a 10 mm. al test delle due punte e che quindi possono mantenere la presa senza controllo visivo.
A questa classificazione (v. fig. 5) ci riferiremo nel testo quando parleremo degli interventi raccomandati a seconda della capacità funzionale residua.

Fig. 5
Classificazione secondo la Conferenza internazionale sulla riabilitazione chirurgica dell'arto superiore tetraplegico

Gruppo    Caratteristica   
0    O:0 = nessun muscolo di grado 4 sotto il gomito   
1    BR   
2    BR + ECRL    
3    BR + ECRL + ECRB    
4    BR + ECRL + ECRB + PT   
5    BR + ECRL + ECRB + PT + FCR   
6    BR + ECRL + ECRB + PT + FCR + EDC     
7    BR + ECRL + ECRB + PT + FCR + EDC + EPL   
8 A 8 B 8 C    Tutti tranne intrinseci, FDS, FPL, parte del FDC Tutti tranne intrinseci, FDS Tutti tranne intrinseci   
i muscoli considerati devono appartenere al gruppo 4 della classificazione del British Medical Council (1943), che prevede la seguente scala:
0= nessuna contrazione
1= traccia di contrazione
2= movimento attivo a gravità eliminata
3= movimento attivo contro gravità
4= movimento attivo contro gravità e contro resistenza
5= normale
Interventi chirurgici raccomandati secondo la capacità funzionale residua
In base alla innervazione segmentaria dei muscoli del gomito, avambraccio e mano, (v. fig. 6),
Fig. 6 :
Innervazione segmentaria dei muscoli dell’arto superiore
C5    C6    C7    C8    T1   
Teres Minor                                   
Supraspinatus                                   
Rhomboids                                   
Infraspinatus                                   
Deltoid                                   
Teres Major                           
Biceps Brachii                           
Brachialis                           
Brachioradialis                           
Supinator                           
Serratus Anterior                   
Subscapularis           
Pectoralis Major   
        Pectoralis Minor           
            Coracobrachialis                   
            Pronator Teres                   
            Extensor Carpi Radialis Longus               
            Extensor Carpi Radialis Brevis               
            Flexor Carpi Ulnaris               
            Flexor Carpi Radialis               
            Latissimus Dorsi           
                Extensor Digitorum               
                Extensor Carpi Ulnaris               
                Extensor Indicis               
                Extensor Digiti Minimi               
                Extensor Pollicis Longus               
                Extensor Pollicis Brevis               
                Anconeus           
                Abductor Pollicis Longus           
                Triceps Brachii       
                    Palmaris Longus       
                    Pronator Quadratus   
                    Flexor Digitorum Profundus   
                    Flexor Digitorum Superficialis   
                    Flexor Pollicis Longus   
                    Lumbricals   
                        Opponens Pollicis   
                        Abductor Pollicis Brevis   
                        Flexor Pollicis Brevis   
                            Palmaris Brevis   
                            Adductor Pollicis   
                            Flexor Digiti Minimi   
                            Abductor Digiti Minimi   
                            Opponens Digiti Minimi   
                            Dorsal Interossei   
                            Palmar Interossei   



ed alla classificazione che è stata proposta dalla Conferenza Internazionale sulla Riabilitazione chirurgica dell'arto superiore tetraplegico (v. fig. 5), basata sulla funzione motoria residua, noi cercheremo di stabilire un programma terapeutico di orientamento generale, che andrà di volta in volta adattato alle caratteristiche ed alle esigenze particolari di ciascun paziente.
I casi il cui livello lesionale midollare è troppo alto per poter essere classificato all' interno del gruppo 0 saranno costretti all'uso di ortesi la cui fonte di energia sarà esterna (elettrica o pneumatica o a CO2); nonostante ciò possono beneficiare di un intervento chirurgico per estendere attivamente il gomito mediante la trasposizione della porzione posteriore del deltoide sul tricipite  (Merle d'Aubignè, Moberg) oppure per abdurre attivamente la spalla con il trasferimento del trapezio sul deltoide (Bateman, Saha).
Gruppo 0
Comprende quei casi in cui il BR e gli estensori ECRB ed ECRL sono deboli, al di sotto del valore 4 della scala di valutazione della forza muscolare adottata dal British Medical Research Council.
Il paziente non è in grado di estendere attivamente il polso contro resistenza.
In questi casi, se il BR è sufficientemente valido, è possibile, trasponendolo sugli estensori radiali del carpo, l'uso di uno splint a cerniera comandato dai movimenti di flesso-estensione del polso. Il risultato di questo intervento migliora se si impedisce la flessione del gomito con una ortesi che mantenga l'articolazione a 90° (il BR agirebbe altrimenti come flessore del gomito e non come estensore del polso) o con la trasposizione della parte posteriore del deltoide sul tricipite. Quest'ultima trasposizione è indicata in tutti i tetraplegici che non riescono ad estendere il gomito contro resistenza e dovrebbe essere eseguita prima degli altri interventi chirurgici.
Tecnica chirurgica
Trasposizione del BR sull' ECRL ed ECRB : incisione a S italica sul lato radiale del terzo medio-prossimale dell'avambraccio (v. fig.7). Si isolano i tendini del BR, dell'ECRL e dell'ECRB (v. fig. 7, A); dopo aver disinserito il BR dal radio (anche il ventre muscolare deve essere isolato per aumentare la sua escursione di 2-3 cm.) si esegue anastomosi tra i tre tendini (v. fig. 7 , B) con una tensione tale da mantenere passivamente il polso a 0° e da non limitare comunque la flessione completa.
Dopo l'intervento si confeziona un gesso d'avambraccio che mantenga il gomito flesso a 90° e il polso dorsiflesso di 45° per 30 gg. Alla rimozione viene iniziata una graduale mobilizzazione attiva; nelle prime 3 settimane viene applicato uno splint con polso esteso durante i periodi di riposo tra le mobilizzazioni.
Con questo intervento viene resa attiva la dorsiflessione del polso; la flessione avviene passivamente per gravità.

Fig.7 , A e B

Trasposizione della parte posteriore del deltoide sul tricipite : attraverso un'incisione curvilinea lungo il margine posteriore del deltoide si isola la parte posteriore del muscolo staccandola dalla sua inserzione omerale (v. fig. 8 , A). Facendo attenzione a non ledere il n. circonflesso, che passa a circa 4-5 cm. dall'acromion, il ventre muscolare del deltoide posteriore viene isolato prossimalmente per aumentarne la escursione. Si isola mediante una incisione curvilinea l'inserzione tricipitale sull'olecrano e a ponte tra la parte posteriore del deltoide e il tendine tricipitale vengono inseriti innesti tendinei prelevati dagli estensori del 2°,3°,4° dito del piede (Moberg) o dalla fascia lata (Hentz). La sutura va fatta in modo tale che esista una certa tensione quando il gomito è in estensione completa ed il braccio è abdotto di 40° (v. fig.8 , B).
Dopo l'intervento viene applicata una gomitiera gessata col gomito flesso di 10° per 40 gg. Alla rimozione viene intrapresa cauta mobilizzazione attiva cercando di non recuperare la flessione del gomito ad una velocità maggiore di 5-10° per settimana per evitare rotture o allungamento degli innesti tendinei. Durante questo periodo, almeno di notte, è utile applicare una valva che mantenga il gomito esteso. Gli esercizi attivi contro resistenza non vanno iniziati prima di 4 mesi dallo intervento.
Fig.8 , A e B

Gruppo 1
I pazienti di questo gruppo presentano un forte BR, in assenza di validi estensori del carpo. In questi casi conviene trasferire il BR sull' ECRB per permettere l'estensione del polso. Se il tricipite fosse molto debole sarebbe utile associare la trasposizione del deltoide posteriore secondo  Moberg (v. gruppo 0).
Si può sfruttare l'effetto tenodesi dei flessori per riuscire ad afferrare gli oggetti estendendo il polso. Per potenziare e rendere più efficace la prensione in questi pazienti sono stati proposti due tipi di interventi : uno, ideato da Moberg, prevede la tenodesi in estensione della interfalangea del pollice, la sezione del legamento anulare alla I MF del pollice, tenodesi del FPL sul radio distale, resezione del retinacolo degli estensori del polso (in questo modo durante l'estensione del polso la falange distale del pollice si porta contro la faccia radiale del dito indice, formando una valida pinza fondamentale); l'altro, ideato da Nickel, Perry e Garrett, prevede l'artrodesi delle interfalangee delle dita indice e medio, artrodesi in abduzione della interfalangea e della metacarpofalangea del pollice, tenodesi del flessore proprio dell'indice e del medio sul radio distale in modo tale che la dorsiflessione del polso porti a contatto i polpastrelli del dito indice, medio e pollice per costituire una presa "a tre punti".
Entrambe le tecniche hanno dato buoni risultati; quella di Moberg sembra comunque più gradita al paziente perché non tende a irrigidire la mano ed il contatto interumano è più piacevole, ed anche al chirurgo in quanto l'intervento è più semplice ed il recupero funzionale più rapido e sicuro.
60
Tecnica chirurgica (secondo Moberg)
L'intervento si svolge in 6 fasi {v. fig. 9):
1) trasferimento del BR sull'ECRL ed ECRB (v. quanto detto a pag. *)
2) sezione del legamento anulare del pollice: incisione obliqua sulla faccia volare della falange basale del pollice. Dopo aver isolato e divaricato cautamente i due fasci vascolo-nervosi si seziona longitudinalmente il legamento anulare permettendo al tendine del FPL di fare la corda di violino. Secondo Moberg in questo modo aumenta il braccio di leva del tendine del FPL e perciò migliora la forza di presa (v. fig. 9 , B).
3) tenodesi del tendine del FPL sulla superficie volare del radio: incisione curvilinea sulla parte radiale della piega di flessione del polso; dopo aver isolato e retratto la branca cutanea palmare del n. mediano ed il n. mediano si isola il tendine del FPL, che viene sezionato al passaggio muscolo-tendineo. Si divaricano le fibre del pronatore quadrato e si scolpisce un tunnel nell'osso del radio attraverso il quale si fa passare il tendine, che viene suturato su se stesso. La tensione verrà aggiustata più tardi (v. fig. 9 , B).
4) tenodesi dell'EPL ed EPB sul I metacarpo : lo scopo è di evitare la dorsiflessione della interfalangea del pollice, che si avrebbe quando la sua motilità passiva supera i 30°. Incisione dorsale a S italica sul dorso del I metacarpo ; divaricati i tendini estensori si cruenta il periostio e la superficie ossea e si esegue la tenodesi degli estensori con punti transossei.
5) stabilizzazione dell'interfalangea del pollice mediante filo di Kirschner, che viene infilato all’apice della falange distale in modo da bloccare l'interfalangea in estensione. Un'alternativa può essere la artrodesi dell'interfalangea del pollice (v. fig. 9 , B).
6) sezione del retinacolo degli estensori del polso, allo scopo di aumentare il braccio di leva del BR trasposto sugli estensori radiali del carpo (si perde però parte dell'ampiezza del movimento del polso, e perciò non tutti eseguono questo tempo chirurgico): incisione longitudinale o trasversale a livello del retinacolo degli estensori, che viene isolato e sezionato completamente permettendo che i tendini facciano la corda d
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